Sul tema della validità delle conciliazioni al di fuori della sede protetta, nell’ultimo anno abbiamo assistito ad un cambio di rotta da parte della Corte di Cassazione attraverso le sentenze n. 1975/2024 e n. 10065/2024
Orientamento Passato
Con l’ordinanza n. 1975 del 18.01.2024, la Cassazione affermava che doveva ritenersi pienamente legittima la conciliazione sottoscritta al di fuori della sede protetta se, grazie all’assistenza del rappresentante sindacale, il lavoratore avesse firmato volontariamente e non in maniera coartata.
Pertanto, la Cassazione rilevava come, la necessità che la conciliazione fosse sottoscritta presso una sede sindacale, non fosse un requisito formale ma funzionale ad assicurare al lavoratore la consapevolezza dell’atto dispositivo che stava per compiere.
I Giudici di legittimità ritenevano che, se la già menzionata consapevolezza, fosse risultata comunque acquisita dal lavoratore attraverso le spiegazioni date dal conciliatore sindacale, lo scopo voluto dal legislatore e dalle parti collettive avrebbe dovuto ritenersi raggiunto e la stipula del verbale, anche se avvenuta in sede diversa da quella sindacale, non avrebbe prodotto alcun effetto invalidante sulla transizione.
Per questa sentenza spettava al datore dimostrare che, nonostante la sede non protetta, il lavoratore, grazie all’effettiva assistenza sindacale, aveva comunque avuto piena consapevolezza delle dichiarazioni negoziali sottoscritte.
Orientamento attuale
Con l’ordinanza del 15 aprile 2024 n. 10065 la Corte di Cassazione ribalta completamente il precedente orientamento, affermando che la conciliazione in sede sindacale non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, non potendo quest’ultima essere annoverata tra le sedi protette aventi il carattere di neutralità per garantire la libera determinazione della volontà del lavoratore.
La Corte di cassazione, ritiene che nel caso in cui il verbale di conciliazione fosse sottoscritto sì alla presenza del lavoratore e del rappresentante sindacale ma in locali aziendali, non possano essere ritenuti soddisfatti i requisiti previsti dal legislatore, ai fini della validità delle rinunce e delle transazioni.
Questo perché la protezione del lavoratore non è affidata unicamente all’assistenza del rappresentante sindacale ma anche al luogo in cui la conciliazione avviene. Si tratta di “accorgimenti concomitanti necessari al fine di garantire la libera determinazione del lavoratore nella rinuncia a diritti previsti da disposizioni inderogabili e l’assenza di condizionamenti di qualsiasi genere”.
Infatti, gli artt. 410 e 411 c.p.c. individuano non solo gli organi dinanzi ai quali possono svolgersi le conciliazioni ma anche le sedi ove ciò può avvenire.
In sostanza, l’assistenza prestata dai rappresentanti sindacali al lavoratore deve essere effettiva e ha lo scopo di porre il lavoratore in condizioni di sapere a quale diritto rinuncia e in che misura, in modo da consentire l’espressione di un consenso informato e consapevole.
Per tali motivi, i luoghi selezionati dal legislatore hanno carattere tassativo e non ammettono equipollenti, sia perché collegati all’organo deputato alla conciliazione, sia in ragione della finalità di assicurare al lavoratore un ambiente neutro, estraneo al dominio e all’influenza datoriale.
La Corte di Cassazione, con tale sentenza sancisce che “la conciliazione in sede sindacale, ai sensi dell’art. 411, comma 3, c.p.c., non può essere validamente conclusa presso la sede aziendale, in quanto quest’ultima non può essere annoverata tra le sedi protette, avente il carattere di neutralità indispensabile a garantire, unitamente all’ assistenza prestata dal rappresentante sindacale, la libera determinazione della volontà del lavoratore”.